Preparazione atletica e bioimpedenza vettoriale
L’allenamento sportivo, quando strutturato in modo corretto, ha lo scopo di alterare l’omeostasi organica dell’atleta al fine di ottenere degli adattamenti che ne migliorino la prestazione. Scendendo nel dettaglio possiamo affermare che l’allenamento è un mezzo per provocare un segnale cellulare che determina una risposta probabilisticamente prevedibile. Detto in parole più semplici ci si aspetta che un certo tipo di allenamento produca una risposta cellulare di adattamento che a livello macroscopico si traduce in un miglioramento di una specifica qualità. Sappiamo infatti che, con buona probabilità, se un atleta si allena in palestra sollevando dei carichi superiori all’85% del proprio massimale (1 RM), con un congruo numero di serie e un recupero adeguato tra le serie, aumenterà la forza massimale. Allo stesso modo l’esperienza ci insegna che facendo fare delle ripetute sui 400m ad un podista, migliorerà la velocità di corsa.
La scienza dello sport, in particolare la metodologia dell’allenamento, studia il modo migliore per correlare un certo tipo di allenamento ad un risultato atteso. Storicamente gli allenamenti erano strutturati tenendo conto della prestazione di gara ed apportando degli aggiustamenti che avessero un senso “logico” con il tipo di prestazione.
Se prendiamo ad esempio l’allenamento per la maratona si è partiti dall’osservazione che la gara ha una certa durata e si sono “pensati” una serie di allenamenti che potessero permettere di correre per lungo tempo e di aumentare la velocità di base. Sono nati in questo modo gli allenamenti di fondo estensivo e le ripetute a ritmo gara o più veloce del ritmo gara.
La metodologia dell’allenamento era prevalentemente basata sull’osservazione e sull’intuizione fatta dagli allenatori, ma in realtà nulla si sapeva di cosa davvero accadesse all’interno dell’organismo.
L’avanzamento delle scienze biologiche come fisiologia, biochimica e biomeccanica, ha permesso di andare ad indagare cosa, a livello cellulare o fisiologico, provoca un certo allenamento. La conseguenza immediata, una volta svelato il meccanismo sotteso, è stata di elaborare nuove metodologie per poi sperimentarle sul campo. Questo è il motivo per cui oggi, diversamente dal passato, i maratoneti ed i ciclisti si allenano in palestra con i pesi, fanno allenamenti ad alta intensità su distanze brevi e curano gli aspetti cognitivi e biomeccanici.
L’allenamento sportivo moderno ha abbracciato il concetto di “funzionale”, si ragiona in termini di adattamenti che possono essere indotti da stimoli che apparentemente non hanno nulla in comune con la disciplina in cui si compete.
Un altro campo di notevole interesse nelle scienze dello sport è la misura del carico allenante e dello stress tollerabile dall’organismo. Ogni allenamento è uno stress che il nostro organismo deve fronteggiare.
Secondo la general adaptation syndrome (GAS) di Seyle l’organismo, quando lo stimolo non supera la capacità di risposta, produce degli adattamenti che aumentano la tollerabilità verso situazioni simili. E’ questo progressivo aumento di tollerabilità che permette di fare allenamenti sempre più intensi e di migliorare la prestazione sportiva.
I ricercatori hanno cercato nel tempo di riuscire a quantificare la capacità soggettiva di sopportare il carico allenante poiché, quando esso supera per un certo periodo di tempo, la capacità di adattamento organico e si incorre in un fenomeno noto come “overtraining”, ovvero una condizione debilitante che affligge l’atleta dal punto di vista endocrinologico e prestativo.
A tale scopo sono stati proposti diversi strumenti sia di carattere psicometrico (RPE, POMS) che fisiologico (TRIMP, HRV, misurazione del cortisolo salivare, ecc..). Una metodica che sembra essere molto promettente è quella della valutazione vettoriale della composizione corporea (BIVA) attraverso bioimpedenza.
Senza entrare nei dettagli tecnici della metodica, quello che interessa sapere è che il nostro corpo è composto da
- comparti che conducono l’elettricità (fluidi extracellulari)
- comparti che si comportano come condensatori, che quindi presentano un certo ritardo nella conduzione elettrica (le cellule)
- comparti che non sono conduttori (gli adipociti).
Lo strumento utilizzato, inducendo una corrente elettrica attraverso il corpo, è in grado di misurare la distribuzione dell’acqua corporea e quindi valutare la massa non grassa del corpo: la free fat mass (FFM). In particolare si può rapportare la resistenza con la reattanza, ovvero dove la corrente passa facilmente (come nella parte extra cellulare) e dove invece ha un ritardo (come nelle cellule).
Quello che risulta è un vettore che viene espresso attraverso un angolo sul grafico resistenza-reattanza, avente un certo modulo. In pratica abbiamo un segmento su un grafico più o meno appiattito sull’asse delle ascisse e più o meno lungo.
La lettura di questo grafico fornisce all’esperto informazioni molto importanti sullo stato di adattamento muscolare, in particolare sul grado di lisi delle miocellule causata da un certo allenamento. Quando eseguiamo un allenamento, infatti, si ha una lesione delle cellule muscolari che riversano il loro contenuto, il citoplasma, esternamente. Questo fa aumentare la componente liquida extracellulare che sarà rilevata dal bioimpedenziometro ed evidenziata come una diminuzione e accorciamento dell’angolo del vettore (angolo di fase). Tale metodica consente quindi di seguire lo stato di recupero muscolare di un atleta e programmare gli allenamenti sulla base di un dato fisiologico reale.
Oltre a questo è possibile valutare, sul lungo termine, la qualità di una preparazione atletica e di un intervento nutrizionale. La bioimpedenza, infatti, fornisce delle stime sulla qualità cellulare o massa cellulare corporea (BCM). La massa cellulare corporea fornisce un’indicazione del comparto metabolicamente attivo del nostro corpo indicando l’evoluzione (o involuzione) di un programma di allenamento e/o di nutrizione. La rilevazione costante della BIVA permette di monitorare con accuratezza lo stato metabolico dell’atleta permettendo di intervenire opportunamente nella pianificazione degli allenamenti e del supporto nutrizionale.
Un esempio di applicazione della BIVA è riportata nelle immagini sottostanti, relative ad un atleta master, Danese Marcello, detentore del record del mondo della 24 ore su strada.
La prima immagine mostra l’effetto di tre giorni di carico. La stellina in alto è la misurzione fatta in condizioni basali di recupero, mentre il triangolino in basso è relativo ad una rilevazione fatta il giorno successivo all’ultimo allenamento di carico.
Come si può notare c’è un accorciamento ed una diminuzione dell’angolo di fase. Seppur non statisticamente significative per valori così bassi, la seconda immagine evidenzia delle stime coerenti con la misurazione del vettore, in particolare si nota come la BCM e l’angolo di fase siano diminuti dopo gli allenamenti di carico.
L’esame è stato ripetuto dopo quattro giorni in cui è stato inserito un solo allenamento di qualità. E’ possibile notare come i parametri si siano riportati a livello basale con un, seppur non statisticamente significativo, miglioramento della BCM, ad indicanre un aumento della massa cellulare ed un recupero avvenuto.
Il confronto con le prestazioni dell’atleta e le sensazioni soggettive, chieste prima della valutazione, collimano con i dati strumentali, confermando il valore dell BIVA quale strumento di controllo dell’allenamento. Nel caso specifico l’atleta ha seguito un protocollo nutrizionale ciclico, con lo scopo di ottenere una ricomposizione corporea che portasse alla riduzione della massa grassa in favore della magra.
E’ noto quanto sia difficile diminuire la massa grassa in fase di carico senza incidere anche sulla massa magra, ma come mostra questo singolo caso la scelta del corretto protocollo nutrizionale coordinato con gli allenamenti permette di ottenere ottimi risultati sulla ricomposizione corporea senza compromettere la prestazione.